Intervista a Valentina Carini
di Eleonora Di Erasmo
Valentina Carini: Alla Central Saint Martins School of Art and Design di Londra, dove ho studiato pittura, periodicamente dovevamo parlare dei nostri lavori. Io la sentivo come una forzatura perchà© in realtà non amo parlare dei miei lavori, vorrei che essi stessi parlassero per me. Penso che le parole non riescano ad esprimere ciò che ha da dire un’opera d’arte. Fare arte è il mio modo di esprimermi.
Eleonora Di Erasmo: Parlami della tua formazione. Come ti sei avvicinata alla pittura?
V. Carini: Da quando ero bambina ho sempre sentito il bisogno di tenere una matita in mano e disegnare, ma non ho potuto frequentare l’Istituto D’Arte.
E’ cominciato tutto quando sono andata a vivere a Londra ed ho iniziato a frequentare la Central Saint Martins. Sono partita da zero.
Durante l’anno propedeutico, prima di entrare al college, dipingevo quadri totalmente diversi da quelli a cui sono poi giunta negli anni successivi. Ho iniziato ad esplorare il mondo del disegno e del colore; l’iconografia dei miei quadri era molto forte, così come i colori, che usavo in modo grafico. Forse questo mi derivava dalle precedenti esperienze lavorative in televisione.
Questa ricerca mi ha poi portato a dipingere alberi. Tutto è nato dal desiderio di riuscire a far emergere nei miei lavori l’interiorità dell’essere umano.
Il primo quadro che ho dipinto [immagine a fianco a sinistra: senza titolo, 2002. Olio e polvere di marmo su tela, 145x90cm / 57×35.4in] raffigura una donna accovacciata da cui, al posto della testa e delle braccia, fuoriescono dei fiori che si innalzano verso il cielo. Ricordo di essermi ispirata ad un disegno di Paul Klee visto ad una interessante mostra alla Hayward Gallery: vi era raffigurata una donna dal cui ventre fuoriuscivano dei fiori.
I fiori, in me, si sono poi trasformati in ramificazioni, nelle quali vedo i legami che uniscono tra loro gli esseri umani, come se su di noi ci fosse un’aurea, una sorta di energia che ci lega tutti. Questa energia si è tramutata in rami.
E. di Erasmo: Dall’iniziale rappresentazione degli alberi dei tuoi primi lavori, sei arrivata gradualmente ad una sorta di astrazione dell’immagine dell’albero. I rami sono mutati in piccole macchie, tracce di una mappa che ora sembra addensarsi, ora diradarsi. Come è avvenuto questo passaggio?
V. Carini: Antoine De Saint-Exupà©ry nel Piccolo Principe dice “l’essenziale è invisibile agli occhi”. Il mio desiderio più grande sarebbe quello di riuscire ad esprimere nei miei lavori l’essenziale, ma senza mostrarlo. Vorrei rappresentare l’invisibile, un anelito che so impossibile da raggiungere.
L’ultimo quadro che ho dipinto è frutto di un percorso molto lungo verso l’essenzialità [immagine a fianco: Senza titolo, 2006. Matita, acquarello, acrilico e filo da cucire su tela – 140x180cm].
Vorrei mettere a nudo il nostro intimo, dare una forma tangibile alla nostra essenza, anche se so che essa è qualcosa di indefinito. E’ forse una ricerca impossibile.
E. Di Erasmo: Nei primi quadri tendevi a mettere in evidenza le parti piene, i rami, successivamente, con l’astrazione delle forme, sei arrivata invece a far emergere sulla tela gli spazi vuoti.
V. Carini: E’ vero, mettere in evidenza il vuoto si avvicinava di più alla mia ricerca sull’invisibile e sull’essenza. Cerco di rappresentare ciò che non c’è attraverso, ad esempio, anche l’uso del gesso che ora sembra apparire sulla tela ora scomparire. Sto cercando di approfondire la mia ricerca anche attraverso i materiali.
E. Di Erasmo: In questa tua ricerca dell’invisibile, anche l’uso di colori tenui ha un ruolo fondamentale?
V. Carini: Amo i colori. Ciò che mi ha lasciato perplessa nel corso della mia ricerca è che ho scelto di usare per le mie tele dei non-colori, pur avendo sempre avuto un forte senso del colore. Le cose invisibili che giacciono dentro di noi, tuttavia, sono incolori, ricerco così le sfumature della trasparenza, il bianco trasparente, il bianco che gioca con la matita, con le forme, con la tela stessa.
E. Di Erasmo: Una caratteristica importante che sembra emergere dalle tue tele è la lentezza non solo del tuo metodo di lavoro, ma anche della percezione dei tuoi lavori da parte dello spettatore.
V. Carini: Quando finisco un quadro è come se non lo sentissi più mio, lo guardo come se non sapessi da dove viene, di qui anche la scelta di non dare un titolo ai miei lavori. In realtà il quadro diventa di chi lo guarda, un po’ come la percezione della realtà che dipende da quale lato la si guarda.
Quello che mi interessa è riuscire ad osservare le piccole cose piuttosto che quelle grandi, per questo motivo chi osserva i miei quadri deve essere più attento e più lento.
Anch’io non devo avere fretta o scadenze nel realizzare i miei lavori. L’uso ad esempio del filo da cucire come strumento di espressione rimanda all’immagine di un gesto lento nello spazio, devo permettere all’ago di passare da una parte all’altra della tela, tirare il filo e ripetere lo stesso movimento centinaia di volte. Si tratta di una sorta di gesto catartico. Aspiro alla lentezza e ora che siamo abituati ad un’estrema velocità , per me questa è una grande conquista.
E. Di Erasmo: le linee e le macchie di cui è disseminata la tela sembrano quasi emergere dalla sua stessa trama e vivere di vita propria.
V. Carini: Ogni linea può farmi scaturire l’idea per tracciare la linea successiva. Non c’è alcuna preparazione nei miei quadri; il quadro nasce e si crea sulla tela stessa. Inizio un quadro ma non so mai come finirà .
Eleonora Di Erasmo, Maggio, 2007