Novembre 2016
Venne verso di noi saltellando. I pantaloni bianchi e un maglione marrone scuro a collo alto.
Non potei fare a meno di notare che ai piedi indossava ciabatte all’orientale, con la punta stretta e in su.
Ci accolse sorridendo. Che sorpresa! Mi aspettavo una donna introversa e silenziosa, specchio dell’intensità del suo lavoro.
Christine ci presentà e ci avviammo verso il suo studio.
Avevo appena conosciuto Shirazeh Houshiary, una delle più grandi artiste viventi al mondo.
Come studentessa dell’ultimo anno del corso in BA Fine Arts alla Central Saint Martins School of Art and Design di Londra, uno dei miei tanti sogni era poter essere testimone dell’immaginario dei grandi maestri del passato, poter entrare nel loro studio ed osservare ogni pennellata, ogni guizzo d’inchiostro, ogni gesto, tormento, esaltazione.
Chissà cosa provava Georgia O’Keeffe di fronte ad una tela bianca, o Eva Hesse imbrigliata nei suoi meravigliosi intrecci di latex, o Henry Matisse, mentre ritagliava forme colorate e le incollava con geniale maestria ad un foglio di carta.
Scelsi così di preparare una tesi su ‘Il mistero del processo creativo’ e di sapere direttamente da chi sapeva; da questa Maestra studiata sui libri di testo al college, che per prima ha lasciato un’impronta indelebile sul mio percorso artistico e che si prestò con inaspettata disponibilità al nostro incontro.
Che emozione Ricordo ancora quando entrammo in questo luogo bianco e immacolato.
Alle pareti solo piccole tele poggiate a terra, un grande work in progress sul pavimento ed un lavoro di grandi dimensioni alla parete in fondo.
L’ambiente era spartano, uno stereo e tanti CD su un tavolo, pitture, barattoli di materiali vari e pennelli su un altro. Parlammo del più e del meno, ci mostrò uno dei primi quadri dell’ultima serie e disse che per lei esistono solo il bianco e il nero e che i colori distraggono dall’essenza di una cosa.
C’è la luce e l’oscurità ed essere semplici è la cosa più difficile del mondo.
Ci mostrò le foto dei suoi quadri. Impercettibile il lavoro sulle tele, ‘bisognerebbe vederli dal vero per sentirli veramente’.
Ci avviammo a pranzo in questo ristorante ad un passo dallo studio, un open space dal soffitto altissimo che mi ricordò subito i loft newyorkesi.
Le spiegai perchè avevo voluto incontrarla.Il dialogo, per me allora inusuale, fluì tranquillamente. Sembrava ci si conoscesse da sempre.
Mi dette i suoi numeri di telefono e ci accordammo per un successivo incontro.
Il resto a quando, presto, mi deciderò a sistemare gli appunti presi durante l’intervista, e dare così un ordine a questo bel ricordo per poterlo condividere con chi vuole saperne di più.
(nella foto, opera di Shirazeh Houshiary, ‘East Window’, presso la chiesa di St Martin on the Field, Londra)